Post-resuscitation care: impatto sull’outcome del paziente reduce da ACC

VOL.2 | ISSUE 04 | ANNO 2022

DOI ON ASSIGNMENT

ISSN 2674-0028

TITOLO: Post-resuscitation care: l’impatto sull’outcome del paziente reduce da Arresto cardio circolatorio


Autori:

Vokrri Leon: Dottore in Infermieristica dipendente Terapia Intensiva Post- operatoria Cardiochirurgica – AULSS 3 Serenissima;

Dott. Nicola Bortoli; Medico Anestesista Rianimatore – Dirigente Medico U.O.C. Centrale Operativa 118 SUEM di Venezia

Dott. Luca Panizza; Infermiere presso U.O.C. Centrale Operativa 118 SUEM di Venezia – U.O.S. SUEM Venezia

ABSTRACT:

L’arresto cardiaco è un evento drammatico, nella sua gestione, oltre alle manovre rianimatorie, assumono notevole importanza le post resuscitation care, esse risultano fondamentali sia per quanto riguarda la sopravvivenza del paziente alla dimissione sia riguardo il suo outcome neurologico. L’infermiere in un contesto del genere assume un ruolo centrale in quanto offre prestazioni altamente complesse, non tralasciando l’aspetto umano della cura.

Obiettivo:

Lo studio ha l’obiettivo di fare una panoramica sulle post resuscitation care nel trattamento del paziente reduce da arresto cardiocircolatorio ricercando in letteratura lo stato di evoluzione di tali terapie e la loro diffusione a livello territoriale.

Metodi:

È stata svolta una revisione della letteratura presente nelle principali banche dati online degli ultimi cinque anni, è stato utilizzato il metodo PICO per lo sviluppo delle parole chiave e sono state redatte le tabelle di estrazione dati che sono state allegate allo studio.

Risultati:

Dalla ricerca effettuata sono stati selezionati trentadue articoli sottoposti a lettura integrale che hanno permesso d’inquadrare lo stato di evoluzione e d’implementazione nelle realtà assistenziali delle post resuscitation care. Sono emersi anche diversi punti che lasciano spazio a dubbi, sui quali andrebbe svolta ulteriore ricerca.

Conclusioni:

Le post resuscitation care, nell’aumentare le probabilità di sopravvivenza dei pazienti che raggiungono il ROSC in seguito ad arresto cardiocircolatorio, risultano essenziali in quanto esse permettono di raggiungere outcome neurologici più favorevoli e contribuiscono a salvare numerosi pazienti che, altrimenti, fino a dieci anni fa sarebbero deceduti. È emerso anche che tali trattamenti non vengono erogati in maniera uniforme sul territorio e che c’è ancora molto lavoro da fare per implementarli in maniera capillare nelle realtà assistenziali.

Parole chiave:

Arresto cardiocircolatorio, trattamenti post rianimatori, ROSC, post-ROSC, post resuscitation care, outcome neurologico, sopravvivenza

Introduzione

L’arresto cardiocircolatorio (ACC) è un evento drammatico per chi lo subisce e costituisce un notevole problema di salute pubblica, In Italia l’incidenza su scala nazionale non è nota, ma due studi epidemiologici condotti nella regione Friuli Venezia Giulia hanno riportato un’incidenza di ACC extraospedaliero tra i 95 e gli 87 casi/100000/anno.

Esso si può presentare sia come un evento acuto o come l’ultima manifestazione di una patologia cronica (cardiaca o extra-cardiaca).
Pertanto risulta essenziale la sua gestione in diverse istanze, a partire dalla prevenzione fino al trattamento in acuto e alla riabilitazione nel periodo successivo all’evento acuto stesso.

ARTICOLO TESI

In un evento di notevole drammaticità come può essere l’arresto cardiocircolatorio, soprattutto quando esso si verifica come episodio acuto, oltre alle manovre rianimatorie, in coloro in cui si ottiene il ritorno della circolazione spontanea (ROSC), le post resuscitation care assumono notevole importanza per l’outcome e il benessere del paziente, principalmente da un punto di vista neurologico.

Pertanto una volta raggiunto il ROSC è fondamentale instaurare e mantenere una situazione di omeostasi cardiovascolare, respiratoria e metabolica in maniera tale da minimizzare i danni d’organo, altrettanto fondamentale, principalmente per l’outcome neurologico, è il controllo della temperatura del paziente (TTM – Target Temperature Management). In quest’ottica nelle linee guida ERC 2015 è stato implementato per la prima volta un capitolo dedicato, dal titolo “European Resuscitation Council e European Society of Intensive Care Medicine, Linee Guida per il trattamento post-rianimatorio” che riassume le più accreditate evidenze di letteratura sulle Post Resuscitation Care.

Tale capitolo considera principalmente tre campi in cui bisogna tempestivamente agire nel post- ROSC

  1. Vie aeree e respiro: sia l’ipossiemia che l’ipercapnia aumentano la probabilità di una recidiva a breve termine dell’ACC e possono anche contribuire all’aggravamento del danno cerebrale secondario dovuto all’ACC stesso. Diversi studi recenti hanno evidenziato che l’iperossiemia causa stress ossidativo e danneggia i neuroni nella fase post-ischemica ed evidenziano che la strategia migliore per minimizzare i danni neurologici è quella di regolare la FiO2 in maniera tale da raggiungere una saturazione arteriosa di ossigeno tra 94-96% già entro la prima ora dal ROSC, sospendendo la somministrazione di O2 al 100%. Quando si ricorre a ventilazione meccanica inoltre risulta fondamentale la misurazione dell’end-tidal Co2 in quanto l’ipocapnia causa vasocostrizione cerebrale e riduce la perfusione cerebrale di conseguenza vi è un incremento della compromissione neurologica secondaria.
  2. Circolo: nei pazienti che presentano, dopo il raggiungimento del ROSC, uno STEMI (Infarto Miocardico con Elevazione del tratto ST) o un BBSn (Blocco di Branca Sinistra di nuova insorgenza), più dell’80% presenta una lesione coronarica acuta, pertanto è indicato intervenire precocemente in maniera invasiva con cateterismo cardiaco in emergenza (e ove necessario eseguire un’immediata PCI). Molti studi recenti hanno evidenziato che la valutazione mediante cateterismo coronarico in emergenza e la eventuale PCI, sono fattibili nei pazienti con ROSC dopo ACC, anche con segni elettrocardiografici aspecifici, in quanto una gestione invasiva di questi pazienti, se hanno subito RCP prolungate permetterebbe di migliorare l’outcome definitivo.
  3. Disabilità e neurologico: tale ambito si suddivide in cinque sotto-categorie
    • Perfusione cerebrale: Studi su animali dimostrano come immediatamente dopo il ROSC si verifichi un periodo di iperemia cerebrale che dura 15 – 30 min, a questa fa seguito fino a 24 ore di fase di ipoperfusione cerebrale mentre il consumo cerebrale di ossigeno gradualmente recupera, in molti pazienti, inoltre, la normale autoregolazione cerebrale viene persa per un certo tempo dopo l’arresto cardiaco; ciò significa che la perfusione cerebrale dipenderà dalla pressione di perfusione cerebrale invece che dall’attività neuronale, in uno studio che si è servito della spettroscopia nel vicino infrarosso per misurare l’ossigenazione cerebrale regionale, l’autoregolazione risultava alterata nel 35% dei pazienti post-arresto cardiaco e la maggior parte di questi era ipertesa prima dell’ACC pertanto dopo il ROSC è opportuno mantenere livelli di pressione arteriosa media sufficientemente alti e tarati sui standard di quotidianità pre-ACC dei pazienti.
    • Sedazione: È pratica comune sedare e ventilare i pazienti per almeno 24 ore dopo il ROSC, non vi sono dati di qualità sufficiente a supporto di un periodo preciso di ventilazione, sedazione e miorisoluzione dopo l’arresto cardiaco, comunque i pazienti devono essere adeguatamente sedati durante il trattamento con TTM, la durata della sedazione e della ventilazione è quindi influenzata da questo trattamento.
    • Controllo delle convulsioni: Le convulsioni sono comuni dopo arresto cardiaco e compaiono in circa un terzo dei pazienti che restano in coma dopo il ROSC. Il mioclono è la forma più comune e compare nel 18-25% dei casi, i restanti sviluppano convulsioni tonico-cloniche focali o generalizzate, o una combinazione di diverse convulsioni. È indicato utilizzare l’elettroencefalografia (EEG) intermittente per rilevare attività epilettica in pazienti con manifestazioni cliniche convulsive, considerare l’EEG in continuo per monitorare pazienti con diagnosi di stato di male epilettico e gli effetti della terapia. Le convulsioni aumentano le richieste metaboliche cerebrali e possono potenzialmente esacerbare lesioni cerebrali causate dall’arresto cardiaco, esse vanno trattate con sodio valproato, levetiracetam, fenitoina, benzodiazepine, propofol o barbiturici; il mioclono può essere particolarmente difficile da trattare; la fenitoina è spesso inefficace, il propofol è efficace nel sopprimere il mioclono post- anossico, anche il clonazepam, sodio valproato e levetiracetam sono farmaci anticonvulsivanti che possono essere efficaci nel mioclono post-anossico. Iniziare la terapia di mantenimento dopo il primo evento una volta che le potenziali cause scatenanti differenti (es. emorragia intracranica, squilibri elettrolitici) siano state escluse.
    • Controllo della glicemia: vi è una forte associazione tra l’iperglicemia dopo rianimazione da arresto cardiaco e prognosi neurologica sfavorevole, l’ipoglicemia grave è associata a un incremento di mortalità nei malati critici. I pazienti in coma sono particolarmente a rischio di sviluppare episodi di ipoglicemia non riconosciuti. Rispetto alla normotermia, l’ipotermia lieve indotta si associa a valori glicemici più elevati, maggiore variabilità glicemica e maggiori richieste insuliniche. La variabilità dei livelli di glicemia è associata ad aumento della mortalità e dell’esito neurologico sfavorevole dopo arresto cardiaco, sulla base dei dati disponibili, dopo il ROSC la glicemia va mantenuta a un valore ≤ 10 mmol/l (180 mg/dl). Il controllo stretto della glicemia non va attuato nei pazienti adulti rianimati da arresto cardiaco, a causa del maggiore rischio di ipoglicemia.
    • Controllo della temperatura: Un periodo d’ipertermia (iperpiressia) è di comune riscontro nelle prime 48 ore dopo un arresto cardiaco, diversi studi hanno documentato una associazione tra presenza di febbre nel post-arresto cardiaco e prognosi infausta, anche lo sviluppo di ipertermia dopo un periodo di ipotermia lieve indotta (ipertermia di rimbalzo) è associato a un aumentato rischio di mortalità e peggior esito neurologico. Per quanto riguarda la gestione dell’ipotermia terapeutica (TTM) dati tratti da studi condotti su animali e sull’uomo indicano che l’ipotermia lieve indotta sia neuroprotettiva e migliori l’esito dopo un periodo ipossico-ischemico cerebrale globale. Il raffreddamento inibisce molti dei meccanismi che portano alla morte ritardata delle cellule, tra cui l’apoptosi (morte cellulare programmata). L’ipotermia riduce il consumo cerebrale di ossigeno (CMRO2) di circa il 6% per ogni diminuzione di 1°C di temperatura e questo può ridurre il rilascio di aminoacidi eccitatori e radicali liberi. L’ipotermia blocca le conseguenze intracellulari dell’esposizione alle eccito-tossicità (alte concentrazioni di calcio e glutammato) e riduce la risposta infiammatoria associata alla sindrome post-arresto cardiaco.

METODO:

Questo studio ha l’obiettivo di fare una panoramica sulle Post Resuscitation Care nel trattamento del paziente sopravvissuto ad arresto cardiocircolatorio, andando a ricercare lo stato di evoluzione di tali trattamenti nella letteratura internazionale e nelle evidenze scientifiche, allo stesso tempo ha l’obiettivo di ricercare il livello di diffusione della conoscenza di tali trattamenti tra gli operatori sanitari e di ricercare il loro livello di applicazione nel contesto nazionale. l materiale per la ricerca è stato selezionato attraverso la consultazione delle principali banche dati elettroniche, quali PUBMED, SCOPUS, MEDLINE PLUS, GOOGLE SCHOLAR e attraverso la consultazione di materiale presso la biblioteca medica centrale “Vincenzo Pinali” dell’Università degli Studi di Padova. È stato utilizzato il modello PICO per la formulazione delle stringhe di ricerca.

RISULTATI

Sono stati reclutati 32 articoli che comprendono dodici revisioni sistematiche, sette editoriali, quattro studi retrospettivi descrittivi, due trial clinici randomizzati, due studi osservazionali prospettici, uno studio di coorte, un case report, un’indagine tramite questionario, una meta- analisi e un articolo di commento. Dallo studio effettuato emerge, principalmente, che:

  1. Il controllo della temperatura target (TTM) nelle 24 ore successive al ROSC riduce il danno ipossico-ischemico cerebrale (HIBI) e migliora gli esiti neurologici del paziente sopravvissuto ad arresto cardiocircolatorio (Sandroni C. 2019)
  2. La TTM è raccomandata per tutti i pazienti che permangono in stato di coma dopo il raggiungimento del ROSC indipendentemente dall’eziologia dell’arresto cardiaco che hanno subito (Leong S.H.B. 2017)

  3. La TTM può provocare come effetti collaterali (che vanno prevenuti e controllati) dis- ionemie, iperglicemia, convulsioni, aritmie cardiache, ipotensione, trombocitopenia, stasi intestinale e sepsi (Aygencel G. 2016)

  4. Ulteriori studi vanno effettuati per identificare la temperatura ideale da mantenere durante la TTM in quanto un range compreso tra 32°C e 36°C consente un eccessiva differenziazione di trattamento tra paziente e paziente (Koltowski L. 2017)

  5. L’esecuzione di angiografia coronarica ed eventuale PCI è indicata in tutti i pazienti sopravvissuti ad ACC che presentano STEMI o BBSn di nuova insorgenza, è consigliata in tutti i pazienti post ROSC e ci sono evidenze scientifiche che dimostrano che a parità di condizioni cliniche migliora la sopravvivenza a 30 giorni dall’evento acuto (Lahmann A.L. 2020)

  6. I target della ventilazione meccanica invasiva e del supporto ventilatorio in generale nel paziente sopravvissuto ad ACC devono puntare all’ottenimento della normossia e della normocapnia per ridurre lo stress ossidativo e la sofferenza ipossica (Madder R. 2018)[25] 

  7. Quasi nel 100% dei pazienti sopravvissuti ad ACC che permangono in coma, all’EGA viene riscontrata iperossiemia, ipossiemia, ipercapnia o ipocapnia, tutte condizioni associate all’aumento della mortalità (Wang H.E. 2017)
  8. È necessario implementare a livello capillare nei territori centri specializzati nel trattamento dei pazienti sopravvissuti ad ACC e nell’erogazione delle post- resuscitation care (Milonas A. 2016)
  9. C’è ancora molto lavoro da fare sull’implementazione e l’erogazione territoriale delle post resuscitation care in quanto in molte terapie intensive non viene applicata la TTM come trattamento cardine dei pazienti che permangono in stato di coma dopo il ROSC e in moltissime terapie intensive l’angiografia coronarica non viene ritenuta un esame di primaria importanza nei pazienti che hanno subito ACC da possibile eziologia cardiaca in quanto non in tutti i presidi ospedalieri è previsto il servizio di emodinamica (Saarinen S. 2015)
  10. La gestione della pressione arteriosa media in base alle necessità metaboliche cerebrali del singolo paziente, misurando il rapporto lattato/piruvato da prelievo giugulare, determina un maggior tasso di sopravvivenza a sei mesi (Mölström S. 2019)

  11. Nelle prime 72 ore dopo il ROSC l’instabilità emodinamica compromette la sopravvivenza dei pazienti che hanno raggiunto il ROSC dopo ACC di conseguenza risulta fondamentale cercare di stabilire una situazione di stabilità mediante la somministrazione di fluidi, farmaci vaso-attivi e inotropi (Pellis T. 2015)

  12. La sedo-analgesia con Propofol-Remifentanil rispetto ad altre terapie riduce la durata del mantenimento del coma e riduce la durata della ventilazione meccanica invasiva in pazienti sopravvissuti ad ACC che necessitano di sedo-analgesia generale (Oddo M. 2018)
  1. Il monitoraggio del paziente con EEG in continuo contribuisce a migliorare la posologia della terapia sedativa-analgesica e migliora la previsione di prognosi dei pazienti in stato di coma post ROSC (Oddo M. 2017)

  2. Nei pazienti che permangono in coma post ROSC avere un BMI tra 25 e 29,9 si è dimostrato favorevole sia per quanto riguarda la sopravvivenza a dodici mesi sia per quanto riguarda l’outcome neurologico alla dimissione (Kakavas S. 2018)

  3. Solamente dopo un periodo compreso tra le 72 e le 96 ore successive al ROSC è possibile fare una verosimile previsione di prognosi neurologica (tramite approccio multimodale) e di conseguenza è possibile discutere con l’equipe e i familiari del paziente gli obiettivi di cura e gli interventi da effettuare in vista anche del ottimizzazione delle risorse disponibili (Walker A. 2018)

DISCUSSIONE:

L’arresto cardiocircolatorio è una condizione patologica contraddistinta dall’assenza di attività meccanica del cuore, quindi dall’assenza della sua funzione di pompa, con presenza o meno di attività elettrica all’elettrocardiogramma. Quando si verifica tale situazione è necessario intervenire in maniera emergente per ripristinare la circolazione spontanea e per evitare la prolungata assenza di perfusione cerebrale, causa di gravi danni neurologici. L’interesse scientifico nei confronti di tale patologia, sia nella sua fase acuta che nella fase post ROSC, è incrementato notevolmente negli ultimi vent’anni con una consistente mole di pubblicazioni nelle più accreditate banche dati scientifiche internazionali, nonostante ciò permangono molti argomenti che vanno ulteriormente indagati e che lasciano spazio a ulteriore ricerca, soprattutto nel campo delle post resuscitation care.

Alla base di questo lavoro c’è stata una ricerca epidemiologica per inquadrare l’entità del problema affrontato e indagare l’incidenza dell’ACC in Italia, è emerso che tale incidenza si assesta tra i 95 e gli 87 casi/ 100000 persone/ anno, quindi tale fenomeno risulta notevolmente rilevante dal punto di vista della salute pubblica, soprattutto nell’ottica di mortalità e morbilità, infatti oltre l’87% dei pazienti muore senza raggiungere il ROSC o riporta gravi disabilità e deficit neurologici, di coloro che raggiungono il ROSC il 70% mure prima della dimissione ospedaliera. Da quanto emerge dai dati epidemiologici la maggior parte del contrasto all’ACC e ai danni che ne conseguono, avviene nelle primissime fasi in cui esso si presenta, fondamentali sono:
 l’intervento degli astanti a fornire l’RCP iniziale, la defibrillazione precoce e il soccorso avanzato precoce.

A volte purtroppo, anche in presenza di tempestiva RCP con defibrillazione e soccorso avanzato precoce non si riesce a ottenere il ROSC e con la strategia dello “stay & play”, adottata dai soccorritori extra-ospedalieri fino a qualche anno fà, tali pazienti erano sostanzialmente deceduti in quanto non era possibile attuare un trasporto in ambulanza durante l’esecuzione di una RCP di qualità; negli ultimi anni, con lo sviluppo di dispositivi massaggiatori meccanici (esempio LUCAS by Physio Control) e di ECOM (Extracorporeal membrane oxygenation) extra-ospedaliera, si applica una strategia differente, lo “scoop & run” cioè quando non è possibile in breve tempo ottenere il ROSC sul luogo dov’è avvenuto l’ACC si posiziona uno di questi dispositivi per trasportare il paziente, mantenendo la perfusione cerebrale, nel centro specializzato più adattato in maniera tale da sottoporlo ai trattamenti necessari ai fini dell’ottenimento della circolazione spontanea.

I dati di sopravvivenza in seguito alla variazione della strategia d’intervento hanno portato fino a un aumento del 34,8% dei pazienti dimessi vivi dalle ICU. Quando tali interventi sono efficaci e viene ripristinata la circolazione spontanea è fondamentale proseguire nel processo di cura applicando una serie d’interventi che vengono raggruppati sotto il termine Post-resuscitation Care.

CONCLUSIONI

  1. È sempre più abbondante la letteratura internazionale e nazionale inerente le post resuscitation care e a livello bibliografico esse stanno assumendo sempre maggior rilevanza in quanto la ricerca nell’ultimo decennio è progredita notevolmente, nonostante ciò ci sono ancora molti punti su cui va svolta ulteriore ricerca e naturalmente le linee guida internazionali vanno aggiornate periodicamente;
  2. Solo il 55.1% delle ICU italiane nel 2013 applicava di routine le post resuscitation care a differenza del resto dell’Unione Europea che raggiungeva percentuali medie del 80%[59]. Nel 2015 gli ultimi dati disponibili registrano una percentuale media del 71,4% di applicazione di routine delle post resuscitation care a livello nazionale;
  3. Una corretta applicazione delle post resuscitation care secondo le linee guida per la rianimazione ERC 2015 può portare a un incremento della sopravvivenza variabile che può superare anche il 30%, non ci sono studi specifici in letteratura che indagano questo aspetto;
Fig.4: Percentuale delle ICU Italiane per regione che applicavano le post resuscitation care nel 2015

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