La gestione delle coagulopatie in ambiente non permissivo

VOL.1 | ISSUE 03 | YEAR 2021

ATTO CONGRESSUALE

ISSN 2674-0028

Autore: Dott. Magg. Nadir Rachedi, Aeronautica Militare Italiana

Intervento tenuto durante il Congresso dedicato all’elisoccorso “HEMS Congress 2019”

INTRODUZIONE

In questo intervento tenuto durante l’HEMS Congress 2019 rivediamo una sintesi delle possibilità in caso di emorragia massiva in ambiente non permissivo. A relazionale è stato il maggiore Nadir Rachedi, medico e maggiore dell’Esercito Italiano, dislocato presso il Policlinico Militare del Celio di Roma, esperto in medevac e attivo in diversi teatri operativi e tattici.

Le tematiche affrontate sono:

  • Damage Control Resuscitation
  • Golden Hour and HELI-Blood
  • Component Therapy or Whole Blood
  • Next Future (lidocaine, walking blood bank, etc)

Il primo punto di questo intervento prende spunto dalla Lesson Learned durante l’attentato di Boston del 2013, dove la massiccia presenza di veterani dell’esercito ha fatto si che molti feriti fossero stati trattati immediatamente con tourniquet improvvisati. Le capacità dei militari e degli ex militari hanno giovato molto in questo caso, per evitare una strage gravissima.

Come gestire le coagulopatie in un ambiente non permissivo?

Prima di tutto dobbiamo capire perché i pazienti con trauma emorragico continuano a morire nonostante abbiamo fermato l’emorragia. Lo studio di Karim Brohi del 2019 è molto interessante. In fase pre-ospedaliera la mortalità è sempre superiore che a 24 ore. Fra il 2009 e il 2015 però tale mortalità è calata molto, mentre a 24 ore è aumentata. I pazienti con emorragia maggiore che hanno ricevuto una unità di sangue intero hanno visto calare la mortalità del 25% ma rimane il dato che il paziente appena arrivato in PS ha un tasso di mortalità del 50% più alto rispetto al paziente in PS da 3 ore. Il miglioramento nella gestione della coagulopatia riduce la mortalità in maniera incredibile, anche se le associazioni con morte a 30 giorni aumentano, ma questo è spiegabile successivamente. Brohi è riuscito a paragonare pazienti con ferite e severità similari sia per tempistiche che per caratteristiche. Quindi sappiamo che i pazienti arrivano con coagulopatia anche se il trattamento è stato eccellente in pre-hospital, anche se il paziente è stato diluito correttamente ed è rimasto caldo. La Acute Traumatic Coagulopathy è uno dei fattori che ci permette di capire come mai questi pazienti muoiano. È un fattore indipendente di predizione della mortalità, e secondo lo studio di Brohi è l’ipossia ad essere indicata come key driver di questo processo. È possibile vedere come il paziente normale pur con un ISS fra 59 e 64 ha un tasso di mortalità 4 volte superiore al paziente senza coagulopatia. Al momento ci sono molte supposizioni sul perché avvenga, in particolare ci si sta concentrando sulla TIC, ovvero la sindrome da insufficienza multiorgano che riguarda infiammazione persistente, immunosoppressione e catabolismo.

Il ruolo dell’endotelio è importante nelle emorragie?

Ma forse un ruolo importante nella TIC lo svolge l’endotelio (il tessuto che riveste i vasi sanguini, i vasi linfatici e il cuore ndr). Sono migliaia di metri quadri di tessuto, che hanno una perfusione poco studiata, tant’è che lo stesso Brohi con Harris e Mai ha segnalato come siano necessari più lavori per identificare come riparare o incrementare l’emostasi dell’endotelio e ridurre l’insufficienza multiorgano. Insomma, è il momento di guardare il sangue come a un organo: la microcircolazione endoteliale – è stimato – rappresenta un’area fra i 4.000 e i 7.000 metri quadrati e l’endotelio può essere considerato uno dei punti di maggior studio per ridurre la pericolosità dei traumi, delle emorragie.

Il paziente emorragico militare: se respira può sparare e aiutarti?

Come sappiamo all’emorragia da trauma concorre un sistema anticoagulante naturale. Questo lo sappiamo però limitatamente rispetto ai nostri feriti, ai feriti militari. I nostri feriti – come ricordava il Capitano Micheletti – sono persone sanissime fino al momento prima del trauma. Quello che ci gioca contro è che parliamo di traumi con elevati impatti e severity score. Sul campo di battaglia la prima domanda che facciamo al ferito è “ci sei? Mi rispondi?”. Se il ferito non risponde si va avanti a sparare. Se risponde la seconda domanda è: “Puoi sparare?”.

Il nostro target non è capire dove ospedalizzare ma come organizzare il salvataggio, il target non è la sala operatoria immediata, ma prevenire danni nell’arco del tempo necessario al recupero.  Quindi le nuove informazioni sulla endoteliopatia sono interessanti, e ci danno modo di guardare a linee guide interessanti.

Cosa possiamo fare come medici per non peggiorare un trauma?

Purtroppo il ruolo del medico in questi scenari non è salvare un paziente, ma capire cosa non fare per peggiorare un trauma. La rianimazione emostatica è cambiata molto negli ultimi anni. Prima ci si basava su studi retrospettivi applicati alle rianimazioni effettuate sul campo di battaglia, ora abbiamo capito che un bilanciamento emostatico con l’obiettivo di rimpiazzare sangue intero o un bilanciamento di plasma e piastrine, con aggiunta di globuli rossi, riduce la mortalità.  I fattori su cui interveniamo nella rianimazione emostatica sono la coagulazione, l’ipotermia e l’acidosi. Nella quinta edizione delle guide europee di gestione dei traumi emorragici maggiori e della coagulopatia ci sono pochi fattori su cui interveniamo, ovvero coagulazione, acidosi e ipotermia.

Ancora oggi parliamo spesso di Ipotensione permissiva, che dovrebbe essere consentita quando non ci sono emoderivati disponibili. Ma quanto è permissiva? Come valutiamo per quanto tempo usarla? Ci sono gli indici di resistività renale per valutare quanto questa pratica è – diciamo – “empatica” con il metabolismo. Ma è sempre un problema di tempo, di durata.

La tempistica nella gestione delle emorragie

Tornando ai tempi, ai numeri, abbiamo ormai stabilito un pathway operativo. I 10 minutes platinum vedono impegnato il militare con il self-made care o il suo commilitone con il Buddy care. Fra i 10 minuti e l’ora, il paziente deve ricevere un damage Control Resuscitation Care da personale addestrato e entro 2 ore deve ottenere supporto chirurgico. Ora, voglio fermarmi su questo tema perché ci sono state policy diverse, in Afghanistan, negli ultimi anni, che possono offrire molti dati. In Afghanistan tutti i feriti militari dovevano raggiungere il tavolo operatorio entro 1 ora dall’incidente. Questo è stato uno sforzo gigantesco, incredibile, perché l’Afghanistan è enorme e ci sono distanze incredibili da coprire. Diversamente da come accade nel settore civile, noi non sempre possiamo portare il ferito nell’ospedale più idoneo. Ecco, in Afghanistan abbiamo visto che applicare la Golden Hour in maniera ortodossa e metodica ha dato dei frutti, nonostante l’aumento dell’injury severity score. Si perché sono diminuiti gli attentati nel tempo, ma sono diventati sempre più gravi, con uso di più esplosivo. Con feriti molto più difficili da trattare.

Su JAMA è stato pubblicato il Case Fatality Rate and Transport Time fra il 2001 e il 2013. Dal 2009 è stata aumentata drasticamente la velocità di trasporto verso la sala operatoria, e il rateo della mortalità è calato inversamente. In questo documento – scritto da un anestesista che ha operato sul campo – è evidente anche come l’ipotensione aumenta drammaticamente l’acidosi quando scende sotto i 100mmHg. C’è uno scalino di mortalità – che aumenta del 10% – quando si passa ai 90mmHg.

Essere pronti per la trasfusione il prima possibile. Ma come?

Quindi, se guardiamo gli outcomes delle emorragie e l’epidemiologia delle morti prevenibili, possiamo capire che un 1/3 delle morti in pazienti che sono trattati prima dell’ospedale sono morti prevedibili. E quasi tutte queste morti sono di pazienti emorragici. Dobbiamo individuare subito il sanguinamento massivo e la coagulopatia, magari con la scala TICCS. Ma come facciamo a trasfondere subito? Sulla base degli studi fatti sulla somministrazione degli emoderivati, fin dal 2003 si è pensato di portare il sangue in ambiente avanzato, geograficamente parlando. Sono stati creati dei frigo altamente capacitativi per gestire correttamente il sangue. È un problema logistico enorme, pensate che il sangue deve arrivare dall’Italia e tornare in Italia, via Afghanistan o Iraq. Abbiamo valutato anche quale era l’impatto delle trasfusioni a bordo degli elicotteri. Uno studio ha valutato a 24 ore e a 30 giorni gli outcome dei trasfusi rispetto i non trasfusi. Si parla di pari injury rate e la trasfusione è sempre consigliata in questi pazienti.

Ma in Afghanistan è stato fatto anche un altro studio: “Una volta imbarcati se faccio la trasfusione ai pazienti entro 15 minuti o dopo i 15 minuti cambia qualcosa?”. La risposta è stata SI: l’outcome dei trasfusi immediatamente è superiore. Non c’è grande differenza a 30 giorni fra i diversi pazienti, fra trasfusi e non trasfusi, a mio parere per il motivo evidenziato prima: negli anni ci si è trovati purtroppo davanti a potenze esplosive negli attentati più elevate, le serie di incidenti hanno avuto pazienti mediamente molto più gravi.

Quindi trasfusione subito, ma come?

Se risolviamo la nostra situazione con il sangue siamo a posto, ma non sempre possiamo averlo con noi. Se ci servisse il plasma? Qui entrano in campo i team francesi, tedeschi e sudafricani che hanno inventato il plasma liofilizzato. È un prodotto uguale al nostro plasma liquido ma meno fibrinogeno, e si mantiene a temperatura ambiente per 1 anno. L’infusione si ottiene mettendo 200ml di fisiologica. I francesi stanno pensando di fare anche le boccette di trasporto in plastica, ma sono in fase di studio. Per noi il plasma è un fluido di rianimazione e sappiamo che garantisce recupero dei fluidi con benefici rapidi. I medici francesi in particolare sostengono che il plasma è il fluido di rianimazione primario e unico per fare volume, non esistono più cristalloidi o altro. In Francia evitano il tema della endoteliopatia. La quota in più che somministrano di fibrinogeno, secondo loro, male non fa. Lo considerano un bonus, ma siamo sempre lì: i nostri pazienti sono sempre sani. Come hanno scritto anche gli israeliani: “Il concetto chiave del trattamento emorragico pre-ospedaliero e pre-operatorio è che bisogna bilanciare la risposta con la “meno peggio” delle opzioni disponibili. L’obiettivo è di dare al ferito volume intra-vascolare per sopravvivere fino alla riparazione dei tessuti o a una efficace rianimazione”.

Gli israeliani in caso di trauma penetrante al torace o all’addome usano sempre anche 2 grammi di acido TXA (nel protocollo è segnato 1, ma è stato aggiornato ndr). Secondo il CRASH, tutti i pazienti traumatici con emorragia grave a 3 ore dalla ferita dovrebbero essere trattati con TXA. Dopo 3 ore la TXA potrebbe aumentare i rischi di morte. Il momento in cui è necessario somministrare TXA, inoltre, è passato da un momento di valutazione ospedaliera (1B) a un momento di valutazione durante il trasporto in ospedale (1C).

L’avvento della Walking Blood Bank

Se quindi le migliori opzioni sono queste, come faccio ad avere sempre sangue pronto? Gli americani hanno creato la cosiddetta Walking Blood Bank. Non ci sono differenze nella somministrazione rispetto alla mortalità ospedaliera, sia per chi ha ricevuto tipi specifici di gruppo sanguigno sia nelle persone che hanno ricevuto uno 0. Di fatto solo 3 trasfusioni su 10.000 somministrazioni hanno causato delle morti. E stiamo parlando di 10.000 persone trasfuse che sarebbero con ogni probabilità morte comunque durante il trasporto, senza infusione.

Poi ci sono tante altre cose a cui guardare, come lo studio del REBOA, e ci sono tanti studi sull’associazione adenosina-lidocaina-magnesio che dovrebbe avere grandi risultati sulla protezione cerebrale e la riduzione dell’emorragia. Ma su questo studio, che è stato portato avanti in Australia e vede la riduzione del 60% delle morti da emorragie non comprimibili, vi lascio con il commento degli autori: “ALM sembrano dare una protezione sistemica preservando le funzioni cardio cerebrali e migliorando lo stato dell’endotelio, e inoltre riducendo l’infiammazione e la coagulopatia. L’esatto meccanismo di funzionamento è sotto investigazione ma sembra coinvolgere un alto numero di percorsi evolutivi”.

Responses

Your email address will not be published. Required fields are marked *