Competenze tecniche di base: nuove capacità per la sicurezza della scena e l’accesso rapido al paziente critico”

Competenze tecniche di base: nuove capacità per la sicurezza della scena e l’accesso rapido al paziente critico

ISSUE 03 | VOL 02 | Y. 2023

Lettera all’editore

ISSN 2674-0028

Autore: Domenico Milano, infermiere Specialista in Area Critica DIEU AUSL di Modena- SET 118

Dalla nascita del “Sistema 118” nel 1992 sono state tantissime le evoluzioni sia dal punto di vista sanitario – con l’acquisizione di nuove competenze – sia di base per il personale volontario/laico, che avanzate per il personale sanitario con l’introduzione di nuovi presidi per:

  • la gestione del paziente politraumatizzato;
  • la gestione delle vie aeree;
  • la gestione della ventilazione N.I.V.;
  • la diffusione di algoritmi specifici
  • la creazione di reti per le patologie tempo dipendenti;

In tutto ciò, nonostante in questi decenni si abbia avuta una attenta e precisa normativa relativa alla sicurezza sui luoghi di lavoro ( LG 626/92 e la successiva 81/08) non ci sono state sostanziali implementazioni per quel che riguarda le capacità di garantire e migliorare la sicurezza della scena, acquisendo competenze di base relative al soccorso tecnico. Mentre di controparte le manovre di primo soccorso sanitario si sono diffuse tra il personale delle FF.OO. e dei Vigili del Fuoco, diventando parte del loro patrimonio formativo professionale.

A differenza del servizio ospedaliero l’emergenza sanitaria extraospedaliera prevede la necessità di fornire l’adeguata assistenza sanitaria, anche avanzata, in una notevole varietà di contesti mutabili, spesso caotici ed ostili, condizionati da vari fattori quali il momento della giornata in cui avvengono e si interviene. A contribuire a queste mutazioni intervengono

  • Condizioni meteo;
  • Presenza di oggetti potenzialmente pericolosi;
  • Il rilascio di sostanze di vario tipo;
  • Inneschi di principi d’incendio, che sottopongono il personale preposto ad una serie di rischi anche gravi.

Alcuni interventi però sono fronteggiabili o limitabili nella loro magnitudo, con opportuni d.p.i., strumenti, o tecniche. Ma soprattutto con una adeguata FORMAZIONE e un continuo ADDESTRAMENTO.

Uno dei mantra che negli anni è stato insegnato è che: “non si interviene se la scena non è sicura”, ma il concetto di sicurezza è relativo. Per il servizio che viene svolto e richiesto il “rischio zero” non esiste e non è realizzabile in quanto esiste un rischio implicito nell’attività di soccorso. Per cui la vera domanda da porsi sarebbe: “ è possibile rendere la scena più sicura?”.

La risposta a ciò è tendenzialmente affermativa, poiché nella maggior parte degli interventi, azioni basilari e semplici strumentazioni da aggiungere alla dotazione sanitaria dei mezzi, permetterebbero di rendere la scena sufficientemente sicura, in modo da poter intervenire.

La normativa  EN-1789, che regola le attrezzature presenti sulle ambulanze di soccorso indica anche alcuni strumenti per la sicurezza e l’accesso al paziente bloccato/non accessibile, ma tali attrezzature risultano spesso inadeguate, poiché non al passo con le moderne necessità del soccorso, soprattutto in caso di incidenti automobilistici.

Da decenni, molte  realtà estere di servizio sanitario extrasopedaliero d’emergenza, prevalentemente nei paesi legati al mondo anglosassone( USA e Australia) e non appartenenti a dipartimenti dei vigili del fuoco, ma anche in nazioni quali Turchia; Thailandia; Messico; Sud Africa, hanno compreso che risulta fondamentale dotare le ambulanze e formare il personale che vi opera ad avere capacità di soccorso tecnico di base, non con la pretesa di volersi sostituire ad altri enti/corpi di soccorso preposti, ma bensì per rendere realmente efficace la loro opera, nell’interesse di offrire adeguate risposte di soccorso.

addestramento ems nsw all’utilizzo di attrezzature idrauliche per l’estricazione
Addestramento di un paramedico del NSW Ambulance Service Australiano all’utilizzo di attrezzature idrauliche per l’estricazione dei pazienti incarcerati.

Purtroppo ancora oggi, per quel che riguarda alcuni aspetti, si assiste ad una rigida e limitata visione del servizio sanitario d’emergenza  territoriale, limitandosi a concepire esclusivamente la parte meramente sanitaria e non comprendendo che esistono anche altre necessità, sicuramente non preponderanti o routinarie, ma comunque necessarie.

Esistono competenze e capacità, delle quali si spera di non dover mai avere bisogno, ma la speranza non è un piano accettabile!

Gli operatori di tale servizio, sono in primis “soccorritori” nel senso più intrinseco del termine, specialisti chiamati a dare una risposta nell’emergenza/urgenza, e come tali devono avere e saper fornire capacità che, poiché possono risultare SALVAVITA, non possono essere patrimonio unico di una sola componente del sistema di soccorso, ma devono essere condivise tra tutti gli operatori che ne fanno parte, soprattutto se spendibili e facilmente realizzabili, così come avvenuto decenni fa con il BLSD, una competenza in origine esclusivamente relegata all’ambito ospedaliero e sanitario, che grazie allo sviluppo di tecnologie che hanno semplificato ciò, e grazie ad una adeguata formazione sugli aspetti essenziali, ne hanno permesso una diffusione capillare, facendo si che una competenza base permettesse di dare la giusta risposta in attesa di chi abbia competenze ed attrezzature avanzate per gestire ciò in maniera completa.

I mezzi di soccorso sanitario, i cui equipaggi sono costituiti da 2 a 4 operatori, spesso sono i primi ad arrivare sulla scena di un incidente stradale, per varie motivazioni, quali: una maggiore presenza numerica sul territorio; maggiore agilità e velocità di spostamento nel traffico, ma anche perché spesso la componente tecnica non sempre viene attivata in contemporanea, sulla base magari di notizie incomplete che giungono dal richiedente, comportando così un prolungamento sulla scena e un ritardo non indifferente sull’accesso al paziente; al tempo di inizio delle cure d’emergenza sul posto e delle cure definitive all’interno dell’ospedale, ciò ovviamente ha tanta più rilevanza, tanto maggiore è la compromissione clinica della vittima, risultando ancora centrale il concetto della “GOLDEN HOUR”, che raccomanda che il paziente vittima di un trauma grave raggiunga le cure definitive intraospedaliere entro la prima ora dall’evento , a ciò si associa l’idea dei “TEN PLATINUM MINUTES” tempo in cui i soccorritori dovrebbero identificare e iniziare a trattare i pazienti con lesioni critiche, tutto ciò per garantire maggiori tassi di sopravvivenza.

Il trauma è una patologia tempo dipendente, con una distribuzione trimodale della mortalità, cun circa un 50%  al momento dell’incidente o nei primi minuti; un secondo picco di circa il 30% entro le prime ore ed un terzo picco del 20% a distanza di giorni o settimane, ed è sul secondo picco che il personale sanitario e soccorritore del servizio preospedaliero può agire con interventi tempestivi e salvavita legarti al controllo delle emorragie maggiori; gestendo le vie aeree e trattando i problemi respiratori;sostenendo il circolo. Gli interventi sia del personale sanitario, sia alcuni di quelli attuati da equipaggi base, servono a contrastare ciò che ormai viene universalmente riconosciuta come la “TRIADE LETALE DEL TRAUMA” costituita dall’insieme e dall’autoalimentarsi reciprocamente  di acidosi metabolica; ipotermia e coagulopatia, che possono portare in breve tempo all’exitus del paziente, e più è ampia la forbice temporale in cui il paziente non riceve cure (therapy free interval) più grave sarà la compromissione globale del quadro.

Ma ogni capacità di soccorso sanitario, per quanto avanzata possa essere, risulta inutile  se viene a mancare un requisito fondamentale: L’ACCESSO AL PAZIENTE, e purtroppo le richieste assistenziali del paziente critico, non possono sempre adattarsi alle tempistiche offerte dal sistema di soccorso, per questo è necessario in tali situazioni di estrema necessità, ridurre al minimo i tempi morti di assistenza al paziente, e ciò è possibile implementando le capacità del personale sanitario di raggiungerlo, come proposto da uno studio effettuato a Johannesburg, in Sud Africa; in cui si è rilevato che il prolungamento del tempo sulla scena, è dovuto, non solo a fattori ambientali e  clinici  ma anche a fattori  sistemici, e tra questi i tempi di arrivo dei soccorsi tecnici(intesi come forze dell’ordine e vigili del fuoco), portando così a proporre l’addestramento del personale all’uso di strumenti e tecniche base per accedere al paziente, non in maniera routinaria, ma legata a casi di emergenza clinica/situazionale.

Il personale sanitario che interviene per primo su tali eventi, ha varie responsabilità, tra queste, quelle relative alla sicurezza della scena, prioritaria sulle altre, ma questa è un’attenzione  che và mantenuta per tutta la durata dell’intervento, perché sono ambienti altamente dinamici e possono cambiare da sicuri a non sicuri, ciò comporta la necessità di una adeguata formazione, preparazione e dotazione, intesa sia come d.p.i. che come strumenti di base.

Già durante il tragitto verso il target l’equipaggio inizia ad ipotizzare ciò che dovrà affrontare sulla scena, tramite le notizie fornite dal dispatch, e a dividere i compiti. Una volta arrivati si inizia dal posizionamento del mezzo, in cui vanno considerati, sia i percorsi di partenza verso l’ospedale , ma anche la protezione della scena dal traffico; il posizionarsi sopravento in caso di presenza di fumi o più in alto nel caso di sversamento di sostanze, lasciando lo spazio adeguato per l’arrivo degli altri mezzi di soccorso.

Indossando tutti i d.p.i (purtroppo ancora poco diffuse nel nostro ambito le giacche e i pantaloni antitaglio e resistenti al calore), si inizia l’osservazione della scena, avvicinandosi gradualmente e osservando a 720° la scena (il cerchio esterno della scena  a 360° e  lo stesso con quello interno, più sopra e sotto i veicoli), quindi GLOBALMENTE, utile anche identificare il tipo di alimentazione dei veicoli e leventuale presenza di sostanze pericolose trasportate. Da questa prima osservazione , si ha così una rapida analisi sulle necessità di altri mezzi e dei pericoli imminenti.

Se i veicoli sono stabili nella loro posizione, e non ci sono pericoli che impediscono di avvicinarsi e che non si è in grado di fronteggiare, ci si può approcciare alle vittime.

Si valuta immediatamente dopo la possibilità di accesso alle vittime, provando le vie più semplici e dirette, tramite le portiere se non bloccate o tramite il bagagliaio. Nel caso queste opzioni non fossero disponibili per svariati motivi (ad esempio veicoli commerciali in cui il vano guida è separato da quello di carico; deformazione della carrozzeria che impedisce di aprire le portiere; posizione del veicolo come appoggiato a degli ostacoli o messo su un fianco), l’alternativa è tentare di creare degli accessi per poter raggiungere le vittime, o tramite i finestrini e/o il parabrezza, oppure forzando le portiere bloccate, ma per fare ciò, il personale deve avere a disposizione strumenti progettati per far fronte alla moderna tecnologia automobilistica e alle conseguenti necessità.

L’accesso immediato al paziente critico, o una maggiore esposizione dello stesso, e avvicinamento ad esso, risulta fondamentale per fornire immediate manovre salva vita, o per poter effettuare una estrazione di emergenza in caso di paziente agonico (in caso di arresto cardiocircolatorio i danni cerebrali irreversibili iniziano dopo soli 4 minuti!).  L’acceso all’abitacolo serve anche per migliorare la sicurezza della scena, e quindi può  acquisire caratteristiche di priorità, potendo in tal modo disattivare il quadro elettrico dell’auto ed attivare il freno a mano, rendendo l’auto più stabile.

Di seguito si descrivono e suggeriscono alcune attrezzature utili per tali scopi. Tale elenco è dato dall’osservazione di altri servizi di emergenza sanitaria extraospedaliera, dove sono già in uso da svariati anni e dove hanno già dimostrato la loro necessaria presenza, e dai suggerimenti raccolti durante attività di formazione congiunta e confronto con personale deputato al soccorso tecnico urgente.

-SISTEMI ANTINCENDIO-

La normativa EN-1789 prevede che a bordo delle ambulanze siano presenti n°2 estintori, posizionati uno nel vano guida ed uno nel vano sanitario. Le problematiche/limiti riguardano il fatto che tali strumenti non vengono considerati prioritariamente come attrezzatura di soccorso per eventuali necessità al di fuori del mezzo, ma esclusivamente per eventuali principi d’incendio riguardanti il mezzo stesso. A ciò si aggiunga il fatto che spesso sono sottodimensionati non considerando i rischi presenti in ambulanza (probabile atmosfera ricca di comburente che aumenta il campo d’infiammabilità del materiale presente) , la presenza di liquidi infiammabili potenzialmente coinvolti, e la presenza di batterie al litio spesso sotto tensione. Va inoltre sottolineato che l’estinguente maggiormente presente è la polvere, oggettivamente poco adatta all’utilizzo in ambienti così limitati come può essere il vano sanitario di una ambulanza o l’abitacolo di un’automobile, vista magari la presenza di pazienti inermi non in grado di proteggere le proprie vie respiratorie, e dannosa per gli elettromedicali.

bioversal e/o cafs portatile

Come già detto ci si può trovare ad essere i primi ad arrivare sulla scena di un incidente stradale, e poter adeguatamente affrontare un principio d’incendio risulta essere una capacità fondamentale per far si che una situazione gestibile non diventi drammatica e sfugga dalle possibilità di controllo. Per assolvere ciò l’ideale sarebbe dotare le ambulanze  di estintori a schiuma (sul mercato esistono specifici estinguenti risultati particolarmente efficaci nello spegnimento, sicuri per eventuale contatto con le vittime, ed utili anche per inattivare sostanze disperse sull’asfalto, evitando accensioni secondarie) o sistemi portatili cafs (compressed air foam system). Oltre a tali strumenti sarebbe opportuno dotare il personale di idonei d.p.i. , così come avviene all’interno delle strutture sanitarie per fronteggiare tale rischio, non meno frequente e pericoloso in ambiente extraospedaliero, dove avere adeguate possibilità di risposta iniziale può risultare vitale.

-PROTEZIONE AIRBAG-

Alcuni sistemi di protezione sugli autoveicoli se non correttamente funzionanti, possono risultare pericolosi per i soccorritori, come nel caso degli airbag, può capitare che nonostante urti che ne dovrebbero provocare l’attivazione, ciò non accada, e teoricamente potrebbe avvenire una attivazione ritardata con il rischio che i soccorritori vengano coinvolti. Lo spegnimento del quadro elettrico del veicolo o la disattivazione della batteria, potrebbero teoricamente non escludere tale evenienza. Per ovviare a ciò esistono delle opportune protezioni, costituite da dei dischi di materiale plastico, che tramite apposite cinghie viene fissato sopra il volante o sopra il cruscotto, in modo da proteggere il personale presente all’interno dell’abitacolo. Nonostante la presenza di più airbag all’interno dell’automobile, il rischio principale è dato dagli airbag anteriori, poiché dato il loro notevole volume, una loro attivazione con il rapidissimo gonfi aggio degli stessi , potrebbe improvvisamente proiettare il soccorritore contro la vittima.

-ATTREZZI GESTIONE VETRI AUTO-

I cristalli dell’auto, rappresentano un importante elemento strutturale degli autoveicoli, e per i soccorritori possono rappresentare sia un ostacolo che una via di  estrazione delle vittime. Spesso possono rappresentare le prime vie d’accesso o avvicinamento al paziente. Bisogna fare una distinzione strutturale tra il parabrezza e i vetri panoramici del tetto, costituiti da un multistrato di vetro e lamina plastica intramezzata tra loro, che possono facilmente essere rimossi tramite apposite seghe; e  i cristalli delle portiere o laterali costituiti da un vetro temperato, che può facilmente essere rotto, andando  così in frantumi in piccoli pezzi non acuminati. Prima della rottura di questi ultimi risulterebbe utile creare sulla superficie una “ragnatela” con del nastro adesivo, in modo da creare un corpo unico nonostante la frammentazione ed evitando cosi che pezzi di vetro vengano proiettati contro il paziente o all’interno dell’abitacolo. Nel caso in cui invece si opti per segare il parabrezza anteriore, se possibile, il paziente andrebbe protetto sia coprendolo con un lenzuolo, sia facendogli indossare una maschera(possibilmente di tipo FFP” o in alternativa chirurgica) per proteggere le vie  respiratorie dall’inalazione di polvere di vetro.

La gestione dei cristalli risulta fondamentale e propedeutica, nel caso in cui le portiere dell’auto risultassero bloccate e si volesse procedere a forzarne l’apertura, per evitare una proiezione incontrollata di schegge sia verso il paziente che verso gli operatori, sia perché ciò permetterebbe di avere accesso alla chiave di accensione del veicolo, permettendo così di spegnere il motore, sia per tentare di azionare il freno a mano, per rendere l’auto più stabile.

attrezzo vetri auto
attrezzo vetri auto: una sega per parabrezza

-FORZATURA PORTIERE AUTO-

Ogni giorno la tecnologia costruttiva degli autoveicoli, porta al conflitto tra sicurezza ed accessibilità alle vittime, cioè la struttura stessa che le protegge, deformandosi strategicamente assorbendo l’energia dell’impatto, può allo stesso tempo essere l’ostacolo per l’accesso alle vittime, ciò risulta ancora più drammaticamente evidente, quando sui mezzi di soccorso sanitario, si hanno a disposizione esclusivamente strumenti obsoleti e inefficaci

Gli attrezzi per lo scasso presenti in ambulanza negli anni ’60 e quelli attuali

All’evoluzione tecnica delle autovetture, di controparte sono anche evolute le attrezzature di soccorso e le tecniche di utilizzo delle stesse, con operazioni che prediligono la divaricazione e  strappo rispetto ad azioni di taglio.

La norma EN-1789, già citata precedentemente, tra gli strumenti di salvataggio presenti a bordo delle ambulanze di soccorso prevede la presenza di attrezzi da scasso, ergo implicitamente prevede ed autorizza, che i soccorritori sanitari debbano tentare di accedere alle vittime, provando a forzare una portiera, ma se tali strumenti potevano andare bene fino a parecchi decenni fa, oggi la loro utilità è venuta meno.

Dopo una collisione, l’energia che ha coinvolto i veicoli, può far si che gli occupanti all’interno rimangano intrappolati. L’intrappolamento può essere sia  FISICO in cui la vittima è impossibilitata ad uscire a causa delle sue lesioni, che MECCANICO,dato dalla deformazione del veicolo che intrappola le vittime, distinguendo in questo caso tra vittime INCARCERATE  poiché le portiere o altre vie di uscita risultano inutilizzabili, e vittime INCASTRATE cioè bloccate in locoda parti del veicololi trattengono e/o li schiacciano. Mentre per le vittime incarcerate gli operatori sanitari potrebbero tentare una LIBERAZIONE E ACCESSO tramite opportune tecniche base e adeguate strumentazioni, di contro per effettuare una estricazione, si necessiterebbe obbligatoriamente di attrezzature maggiori  e tecniche avanzate e complesse, di competenza e applicazione del personale dei vigili del fuoco. Facendo una analogia è ciò che accade quotidianamente con le tecniche di primo soccorso sanitario: i primi soccorritori che intervengono (volontari; laici; ff.oo.; vigili del fuoco addestrati a ciò) devono avere a disposizione attrezzature e conoscenze di base che permettano un primo intervento, risolutivo o meno, in attesa che se necessario, arrivino gli specialisti con competenze avanzate in tale ambito. Ma mentre ciò in ambito sanitario è culturalmente accettato e contemlato, ed è stato comprensibilmente sdoganato, in ambito di soccorso tecnico in Italia, ci sono purtroppo ancora parecchi limiti a comprenderne la necessità e ad attuare ciò, a discapito quotidiano dell’utenza.

Tornando alle attrezzature di forza, mentre fino a qualche decennio fa si poteva contare esclusivamente su pesanti  e complessi grupi di taglio, che ne limitavano la diffusione, oggi il mercato offre strumenti alimentati a batteria o azionati manualmente, sempre più leggeri, ergonomici,che ne consentono una notevole manegevolezza, e che sono di facile addestramento all’utilizzo, anche da parte di un singolo operatore con i d.p.i. normalmente in uso, con capacità davvero sorprendenti, nonostante le limitate dimensioni, che possono essere agevolmente posizionati su vari mezzi di primo intervento, quali ambulanze o auto delle ff.oo. .

Pinza caricata su un mezzo ambulanza del Pittsburg bureau EMS

Questi strumenti, a differenza di quelli normalmente in uso sulle ambulanze, permettono in un paio di minuti di liberare un paziente incarcerato o di effettuare una estrazione d’emergenza qualora la situazione clinica lo richiedesse, o di avere quantomeno accesso al paziente incastrato, dando la possibilità quindi di applicare misure necessarie alla stabilizzazione clinica, nell’attesa di effettuare l’estricazione

E’ ormai noto come dal momento dell’incidente le condizioni cliniche del paziente politraumatizzato, andranno incontro ad un peggioramento, più o meno rapido, e l’attesa, lo stare inermi, non è un lusso che ci si può permettere, neanche per pochi minuti (in una visione ottimistica delle tempistiche del sistema di soccorso), ciò, in altre realtà è stato ben compreso e si sono attuate nuove modalità operative di risposta.

La strumentazione ideale per gli operatori del soccorso sanitario d’emergenza extraospedaliera, sembra essere l’attrezzo combinato, uno strumento idraulico che permette un buon compromesso, offrendo buone prestazioni, e permettendo sia capacità di diffusione, utili per forzare le portiere o sollevare pesi che schiaccino o blocchino un paziente( ad es. una moto che schiacci l’arto inferiore di un infortunato); che capacità di taglio, qualora fosse necessario tagliare barre o catene che possano limitare l’accesso.

Apertura di una portiera con attrezzo combinato a batteria.

FIGURA9[apertura portiera con combinato]

Tutto ciò, non sarebbe teoricamente una novità, poiché rientrerebbe nelle competenze richieste ai soccorritori sanitari, semmai sarebbe una giusta e necessaria evoluzione, che consentirebbe di ottenere notevoli vantaggi, influenzando positivamente i tempi di soccorso di molti interventi per incidenti stradali, e quindi di riflesso di poter ridurre potenzialmente la mortalità, l’aggravamento del quadro clinico e quindi delle necessarie risorse e cure successive una volta raggiunto l’ospedale.

CONCLUSIONE

La moderna attività di soccorso, necessita che il personale che vi partecipi, possieda adeguate capacità, che in alcuni casi possono combaciare con quelle base tipiche di altri enti/corpi, soprattutto se le stesse, possono contribuire ad aumentare le possibilità di sopravvivenza, a limitare le sequele negative, migliorando quindi l’outcome delle vittime.

Lo scopo primario di ogni attività di soccorso è quella di tutelare la vitaumana, proprio per ciò si devono aumentare costantemente le capacità operative del personale, stando al passo con l’evoluzione scientifica delle evidenze; il presentarsi di nuove difficoltà; e seguendo anche l’evoluzione della tecnologia delle strumentazioni di soccorso, che consentono di avere capacità prima impensabili o limitate come diffusione, tutto ciò superando anche limiti “culturali” volti più a tutelare interessi di categoria.

Bisogna comprendere la stringente necessità che il paziente in condizioni critiche riceva, nel più rapido tempo possibile cure sanitarie adeguate, limitando per quanto possibile il “free therapy intervall” e per fare ciò bisogna far si che il personale che si occupa di soccorso sanitario extraospedaliero abbia competenze tecniche di base che permettano di rendere la scena più sicura per poter intervenire, e capacità per tentare un accesso rapido alle vittime, anziché rimanere come inermi osservatori mentre i pazienti peggiorano davanti i loro occhi.

Le tecniche sopradescritte, si potrebbero applicare ad un numero selezionato di casi e situazioni, ma ciò non dovrebbe essere la giustificazione alla diffusione di ciò, visto l’elevato impatto positivo che potrebbero avere sulla sopravvivenza. Si pensi a tecniche come l’accesso cricoideo per ventilare o ossigenare un paziente, o la presenza di DAE in aree remote, dove il loro utilizzo sarà statisticamente remoto, ma nonostante ciò, si valuta l’impatto e i risvolti positivi che ciò potrebbe avere sulla sopravvivenza di una persona.

L’utilizzo delle strumentazioni e l’applicazione delle tecniche sopra descritte, sarebbe secondario ad un adeguato percorso formativo e addestrativo, di facile realizzazione e  non eccessivo impegno temporale, come dimostrato dalle tante realtà sanitarie che già hano adottato tali competenze facendo si che si integrassero al patrimonio professionale dei propri operatori, migliorando in maniera oggettiva le capacità di soccorso e integrandosi perfettamente nel sistema di soccorso con gli altri enti.

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